Il ritorno di Mosca a Tripoli. Quali conseguenze?

,

“La presenza diplomatica russa in Libia è pienamente tornata e l’ambasciata della Russia a Tripoli lavorerà per rafforzare le relazioni bilaterali”. Con queste parole, lunedì 10 giugno nella capitale libica, l’ambasciatore della Federazione russa in Libia, Aydar Aganin, ha presentato le sue credenziali al capo del Consiglio presidenziale, Mohamed Menfi. Perché il Cremlino, che ha sempre sostenuto l’est libico e in particolare il generale Khalifa Haftar, ha deciso di riavvicinarsi a Tripoli e quali potrebbero essere le conseguenze in Libia e, più in generale, negli assetti internazionali?

La Russia in Libia. Storia di una presenza strategica

Dallo scoppio della guerra nell’ex Jamahiriya nel 2011, Mosca si è più volte rammaricata di non aver impedito, con un veto alle Nazioni Unite, l’operazione militare condotta dalla Nato contro la Libia di Gheddafi. Qualche anno più tardi, pur riconoscendo il Governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj voluto dall’Onu, la Russia ha firmato, nel gennaio 2017, un accordo di cooperazione militare con “l’uomo forte della Cirenaica”, il generale Khalifa Haftar, siglato a bordo della portaerei Admiral Kuznetsov che attraversava il Mediterraneo rientrando dalla missione nelle acque siriane. Da allora il ruolo russo di supporto all’Esercito nazionale libico di Haftar è cresciuto, in sinergia con Egitto ed Emirati Arabi Uniti, pur mantenendo un profilo più “contenuto” rispetto ad altri teatri. A differenza della Siria, per esempio, in Libia Vladimir Putin non ha mai inviato truppe regolari ma i contractors della compagnia militare privata Wagner, impegnata a offrire mezzi, manutenzione e anche supporto militare alle milizie di Haftar, soprattutto durante la guerra del 2019 intrapresa dal generale per la conquista di Tripoli. L’intesa con Haftar mirava ad ampliare l’influenza di Mosca nel Mediterraneo e in Africa, favorendo la penetrazione in Cirenaica in termini di concessioni assegnate alle compagnie energetiche del Cremlino ma anche in termini militari, con la possibilità di utilizzare porti e basi strategiche per la flotta russa. Fino al 2022, anno della cosiddetta “operazione speciale” russa in Ucraina, in Libia la presenza della Wagner nell’est libico era stimata in circa 4.000 uomini. Oggi i numeri, secondo la più parte degli analisti, sono decisamente inferiori, sia perché molti “combattenti” sono stati concentrati in Ucraina, sia perché si sta rafforzando la presenza della Wagner in altri Stati africani.  Secondo un rapporto del Global Initiative against Transnational Organised Crime (Gi-Toc), pubblicato nel febbraio 2023, nella Repubblica Centrafricana il gruppo ha stabilito «la sua partnership più proficua», passando dal settore della sicurezza a quello del controllo delle risorse naturali, con accesso privilegiato alle miniere d’oro e di diamanti e addirittura di alcuni ministeri. Cosa simile è accaduta in altri Paesi come Mali e Sudan. 

Seppure dopo la recente crisi tra il capo della Wagner, Prighozin, e i vertici del Cremlino potrebbero esserci percussioni tra i governi locali africani e Mosca, per ora la presenza del gruppo Wagner in parte dell’Africa, Libia compresa, è ancora consistente. In questo contesto, l’apertura dell’ambasciata russa a Tripoli sembra mostrare l’intenzione di trasformare il ruolo militare e logistico russo in uno maggiormente diplomatico mirando, addirittura, a mediare con le potenze occidentali nel possibile percorso di stabilizzazione del Paese nordafricano. Le conseguenze potrebbero essere tanto serie quanto inaspettate vista la posizione russa nell’attuale scenario internazionale. 

Le possibili conseguenze

Per comprendere le conseguenze della mossa russa è necessario tenere in considerazione alcuni fattori. In primo luogo, il ruolo degli Stati Uniti in Libia. La guerra in Ucraina che vede Usa ed Europa sostenere Kiev, ha imposto un rapido mutamento della situazione anche in Nordafrica. La Casa Bianca sembra voler tornare ad avere un ruolo di primo piano in Libia. Washington teme un sempre maggiore attivismo di Mosca e soprattutto la presenza della Wagner nelle basi vicine ai pozzi di petrolio della Cirenaica, prima tra tutte quella di al-Jufrah nel centro-sud del Paese. Per gli Usa diventa, dunque, indispensabile tornare ad avere un posto in prima fila nel dossier libico. A gennaio nel Paese nordafricano è volato il capo della Cia, William Burns che si è recato sia a Tripoli che a Bengasi dove ha tenuto colloqui diretti con Haftar. Segno della volontà della Casa Bianca di recuperare il tempo perduto e di influenzare maggiormente il dossier libico. Dall’altra parte Mosca, con la riapertura dell’ambasciata a Tripoli, vuole inviare un chiaro messaggio agli Stati Uniti: poter agire nelle aree di influenza di Washington e diventare addirittura un attore diplomatico capace di mediare nelle trattative in corso tra est e ovest, anche in vista delle future elezioni nell’ex Jamahiriya. Da questo punto di vista c’è un secondo fattore da tenere in considerazione: il ruolo della Turchia. E’ ben noto che Ankara controlla l’ovest libico. Qui possiede numerose basi, porti strategici ed ha accordi importanti in termini energetici (e non solo) con le leadership di Tripoli. Russia e Turchia, nonostante il conflitto in Ucraina, non hanno mai smesso di dialogare e fare affari. Anche questa potrebbe essere una mossa tattica russa: riuscire a dialogare con l’ovest libico, dove è fortemente presente la Turchia, per creare un asse che possa escludere Europa e Usa, anche come contromossa al ruolo che questi attori stanno giocando nel conflitto in Ucraina sostenendo Kiev. 

Detta in altri termini, in questo momento non si stanno aprendo solo “i cancelli” di una ambasciata ma anche possibili nuovi focolai di crisi nello scacchiere internazionale in cui la stabilizzazione della Libia potrebbe essere la prima vittima. 

ESTRATTO DALL’ARTICOLO DI MICHELA MERCURI PER ATLANTE TRECCANI, 4 LUGLIO 2023

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *