La Siria nel 2024: La Fine di un Ciclo e l’Inizio di una Nuova Era Geopolitica

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Il dicembre del 2024 segna un punto di svolta storico per la Siria, un paese che, per oltre un decennio, è stato il teatro di una guerra devastante che ha riscritto le mappe geopolitiche del Medio Oriente. La caduta del regime di Bashar al-Assad, avvenuta l’8 dicembre, segna non solo la fine di una dittatura sanguinaria, ma soprattutto l’inizio di una nuova fase di transizione che non può essere comprensibile senza il ricorso ad un’analisi che trascenda la mera cronaca e penetri nei meandri delle complessità geopolitiche che da sempre definiscono questa terra di confine.

La sconfitta dell’Assad ha avuto un effetto domino, che ha riverberato nei corridoi dei palazzi del potere di Mosca, Ankara e Washington. In effetti, il presidente siriano, in fuga verso la Russia, ha perso quel sostegno internazionale che gli permetteva di continuare a governare un paese ridotto in macerie, mentre i suoi oppositori, soprattutto la coalizione di ribelli sunniti, sono saliti alla ribalta. Non è certo un caso che proprio Hayat Tahrir al-Sham (HTS), l’alleanza jihadista che ha dominato il nord-ovest del paese, abbia preso il controllo di Damasco, annientando simbolicamente l’ordine imposto dal potere alawita.

Il crollo di Assad non è un evento isolato, ma parte di un disegno geopolitico che trascende le mere contingenze siriane. Come sosteneva il grande politologo Raymond Aron, “la politica internazionale è la lotta per il potere”. Oggi, quella lotta si gioca su uno scenario complesso, dove la sfida non è solo tra il vecchio e il nuovo, ma tra potenze globali e regionali che cercano di estorcere l’ultima goccia di influenza in un Medio Oriente sempre più frammentato. La Russia, che in passato aveva sostenuto con forza il regime di Assad, si trova ora a dover navigare tra la necessità di mantenere un’influenza stabilizzante e il desiderio di non compromettere una transizione che potrebbe ridisegnare l’intero assetto della regione.

Ma ciò che emerge con forza è la fragilità intrinseca di un paese che, dopo la fine del regime, si trova a fronteggiare un futuro carico di incognite. La creazione di un nuovo governo di transizione, guidato dal pragmatismo di Mohammed al-Bashir, è un passo verso la ricostruzione della nazione. Tuttavia, le sue dichiarazioni sul disarmo della popolazione civile e sulla creazione di un esercito nazionale integrato sembrano dissimulare una realtà ben più complessa: quella di una Siria che rischia di diventare un narco-stato, alimentato dalla produzione di captagon, una droga che tra il 2020 e il 2023 ha fruttato al paese una cifra astronomica di circa 5 miliardi di euro. Un’economia paralizzata che non ha più la capacità di produrre beni, ma solo sostanze stupefacenti destinate ad alimentare il mercato nero internazionale.

In un contesto del genere, la Siria si trova a dover fare i conti con la comunità internazionale, che non può più permettersi di ignorare le sue difficoltà. La ricostruzione non sarà solo una questione di investimenti economici, ma di rimozione delle sanzioni che ancora gravano sul paese. Come affermava Karl Popper, “la libertà non è data, è conquistata”. La Siria, dunque, deve guadagnarsi la sua libertà politica ed economica in un contesto di frustrazione e cinismo internazionale, dove gli aiuti umanitari rischiano di arrivare troppo tardi e troppo poco.

In parallelo, la Siria si trova a dover affrontare l’ombra lunga di potenze esterne, come gli Stati Uniti e la Turchia, che continuano a manovrare dietro le quinte per determinare l’equilibrio di potere in un paese che da troppo tempo è stato teatro di scontri etnici, religiosi e geopolitici. La preoccupazione è che, come accaduto in Libia ed Egitto, la transizione post-rivoluzionaria possa degenerare in una spirale di instabilità, mettendo a rischio non solo la Siria stessa, ma l’intera regione. In tale contesto, la sfida per il futuro della Siria è la stessa che affligge l’intero Medio Oriente: riuscirà a trovare una stabilità duratura o si avvierà verso un altro conflitto interminabile?

L’intellettuale e filosofo francese Alexis de Tocqueville scrisse che “le rivoluzioni sono come il vento: non si sa mai da che parte soffiano, ma si è certi che i suoi effetti non saranno mai neutri”. In questo senso, il futuro della Siria è tutto da scrivere, ma le sue sfide sono evidenti. Una Siria post-Assad non sarà solo una questione interna, ma una questione globale, che interroga la comunità internazionale sulle sue reali intenzioni in un contesto così carico di contraddizioni. La Siria, dunque, sembra essere sull’orlo di un bivio. Da un lato, un’opportunità per ricostruire su basi nuove, basate sulla riconciliazione e sull’inclusività. Dall’altro, il rischio di cadere in una spirale di conflitto che potrebbe coinvolgere attori esterni e prolungare l’incertezza per anni a venire. Una cosa è certa: la fine del regime di Assad segna l’inizio di una nuova era geopolitica per il Medio Oriente, e la Siria dovrà decidere se essere parte della soluzione o del problema.

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