Cina, una (non) strategia per l’Europa

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Il Presidente cinese Xi Jinping ha da poco concluso il suo viaggio diplomatico in Europa, dopo ben cinque anni di assenza dal Vecchio Continente. Dopo essersi recato alla corte di Emmanuel Macron ed essere stato ricevuto con tutti gli onori del caso dal Presidente serbo Aleksandar Vucic, Xi è giunto in Ungheria da Viktor Orban. Rispetto al 2019, anno dell’ultima visita del Capo di Stato cinese in Europa, sono cambiate molte cose. Per citarne solo alcune: la crisi pandemica, lo scoppio della guerra in Ucraina, la scontro sempre più evidente fra Cina e Stati Uniti nonché le nuove tensioni commerciali fra Cina e Unione Europea. Questioni, insieme a quella relativa al futuro di Taiwan, a dir poco cruciali che diventeranno sempre più centrali nel dibattito politico. Sorge perciò spontanea la seguente domanda: quale è la strategia dell’Unione Europea verso la Cina? 

La strategia europea: de-risking 

La Commissione europea ormai da qualche anno nei suoi documenti ufficiali parla di “de-risking”. Neologismo anglosassone che di per sé è privo di un significato preciso e si presta a diverse interpretazioni. Nell’interpretazione data dai funzionari europei significa che i paesi dell’UE si impegnano a ridurre la dipendenza economica verso la Cina con l’obiettivo di diversificare e rafforzare le catene di approvvigionamento ed equilibrare la bilancia commerciale (oggi l’UE ha un deficit commerciale di quasi 300 miliardi di euro). Nonostante le finalità siano anche condivisibili, questa strategia presenta due nodi fondamentali. 

Il primo è che non è una strategia. Ridurre la dipendenza economica europea dalla Cina equivale ad affrontare una minima e meno rilevante parte della questione cinese. Che cosa intende fare l’Unione Europea rispetto allo scontro fra Stati Uniti e Cina che si profila ogni giorno con più forza? Quale è la posizione europea su Taiwan? Cosa rispondere agli Stati Uniti che ci chiedono di mandare navi nell’Indo-pacifico? Nessuna risposta a queste domandi centrali nel futuro geo-politico. Questo accade perché, al contrario della favola degli Stati Uniti d’Europa che alcuni (ci auguriamo in buona fede) continuano a raccontare, non esiste alcuna Unione Europea come entità politica e financo geo-politica. A queste domande ci sono 27 risposte diverse, ciascuna per Stato. 

Questo ci rimanda al secondo nodo del de-resking. Ogni Stato ne dà una diversa interpretazione. Da una parte stati come la Francia appoggiano misure protezionistiche per garantire le industrie europee dall’inondazione di beni cinesi a basso costo, dall’altra stati come la Germania che continuano a investire e fare affari con la Cina, nascondendosi dietro a un non meglio specificato “pragmatismo”. Emblematico il fatto che Xi Jinping non sia volato a Bruxelles, ma abbia visitato due Stati parte dell’UE (Francia e Ungheria) che hanno un approccio verso la Cina profondamente diversi: i cinesi rimangono pur sempre degli abili diplomatici e non fanno altro che applicare il sempre vero principio “divide et impera

La questione cinese come specchio del funzionamento dell’Unione Europea

Le divergenze relativamente alla questione cinese sono evidenti e rappresentano una buona cartina tornasole della logica dell’Unione Europea. Per fare un esempio, la stessa commissione europea, mentre elaborava la “strategia” di de-risking, ha introdotto il divieto di vendita di macchine con motori endotermici dal 2035 per raggiungere il folle obiettivo di neutralità climatica. Non si è accorta che la Cina è il primo produttore di batterie per i veicoli elettrici e ha nel tempo sviluppato delle catene di approvvigionamento delle tecnologie necessarie per la loro produzione molto solide grazie anche agli ingenti sussidi di stato. Resasi conto di aver di fatto reso dipendente un settore strategico come l’automotive dalla Cina, la Commissione ha cercato di mettere una pezza avviando una indagine sui sussidi di stato cinesi che alterano la concorrenza. Indagine che è contrastata dalla Germania, le cui imprese dipendenti dal mercato cinese temono ritorsioni da parte di Pechino. Questa vicenda esemplifica bene le contraddizioni in seno all’Unione Europea e come spesso i funzionari di Bruxelles, presi da una foga ideologica, si scordino le priorità strategiche. 

Incertezze sul futuro Si dice che sbagliare è umano, perseverare è diabolico. L’Europa si è già fatta cogliere impreparata dall’invasione russa e ci sono tutti i presupposti perché il copione si ripeta quando Pechino interverrà militarmente a Taiwan. Xi Jinping ha infatti definito inevitabile la riunificazione di quella che considera la Nazione cinese e la via della forza (nonché il potenziale scontro con gli Stati Uniti) diventa sempre più probabile. Cosa farà a quel punto l’Europa, la cui economia continua a essere dipendente dalle merci cinesi a basso costo? In attesa di una strategia concreta, accontentiamoci di salvare il mondo guidando auto elettriche di produzione cinese!

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